In questi giorni è come se il mondo di Lucio Dalla stesse per dividersi in mille rivoli. Era un mondo strano, fatto di radici e di sentimenti. Vecchi amori e vecchie amicizie, luoghi, memorie e opere d’arte: niente sarà più come prima. Lucio oggi è davvero morto. Si comincia il primo settembre, con un’asta. Senza Marco Alemanno, il suo compagno, che adesso è andato via anche da Bologna: «Io non ne so nulla, anche perché sono stato escluso da ogni decisione. E non ho nessun tipo di contatto con gli eredi». Il fatto è che lui, escluso dall’eredità e costretto a lasciare la casa in via D’Azeglio dove viveva con il cantautore, quello che aveva da dire l’ha già detto a Oggi, nel dicembre scorso: «Sono molto più ricco io di loro: ho avuto e avrò sempre dentro di me Lucio, i nostri ricordi, la nostra vita. A loro restano solo i soldi». E la Fondazione, a onor del vero: che è nata il 4 marzo, presidente Tobia Righi, il vecchio amico che chiamavano «il babbo». Ed è proprio per la Fondazione – hanno fatto sapere gli eredi, 5 cugini e una quindicina di figli – che dal 1 al 30 settembre sono all’asta alcuni dei beni dell’artista.
Servono soldi perché ci sono «progetti in grande», e «la Casa Museo deve diventare un richiamo non solo italiano, ma un esempio da imitare in tutto il mondo», spiegano. Poi, quando verranno aperte le buste, al piccolo genio che aveva inventato Caruso saranno dedicati un docufilm con immagini inedite, un convegno, concerti. Può sembrare una normale questione di soldi. Ma è più una storia di memorie e di luoghi, di affetti e di persone, oltre che di denaro. E come tutte le storie comincia da molto lontano, nelle serate da Vito, l’osteria dove Lucio Dalla annunciò agli amici che partiva per il festival di Sanremo e dove tornò piangendo per Luigi Tenco che era il suo vicino di camera, l’osteria dove andavano tutti, anche Anna Oxa, quando capitava a Bologna con il suo futuro marito, Cinnopazzo come lo chiamavano, un ragazzo che non aveva nemmeno i soldi per pagarsi il dentista: glieli dette lui, Lucio. Erano i primi che guadagnava. Non ce più nessuno di loro da Vito. Lui continuò a fare soldi, e cominciò a comprare. Avendo accanto sempre le stesse persone, la governante Tina, la signora che gli teneva i conti, Maria Rosa Turcato, lo psichiatra Angelo Battistini, l’avvocato di Cassazione Paolo Bonetti, quello di Disperato erotico Stump, Tobia Righi e il ristoratore Paolo Cesari. E poi un corniciaio strampalato, Giuseppe Rossetti, che finì senza sapere perché in una retata di Prima Linea: Dalla gli pagò gli avvocati, e quando venne scarcerato, sempre grazie a lui, diventò un pittore.
Nel 1997 conobbe Marco Alemanno, che aveva solo 17 anni. Diventarono amici, e poi iniziarono una collaborazione artistica. Dal 2003 andarono a vivere insieme, nella casa di oltre mille metri quadri appena comprata in via D’Azeglio da Leone Pancaldi e dalla signora Gabriella Berardi, socia del Mulino. Non stavano nello stesso appartamento ma in due alloggi gemelli, al terzo piano. Le entrate erano da scale diverse. Quando dopo la sua morte arrivarono gli eredi, Alemanno si ritrovò la serratura cambiata: «Mi tolsero anche le chiavi, mi obbligarono a fare un inventario sul mio computer. E da quel giorno presero a darmi del lei, mi chiamavano per cognome». All’asta andranno proprio quei due appartamenti di 214 e 220 metri quadrati più quelli del secondo piano (il primo piano invece sarà la sede della Fondazione), oltre alla villa di 400 metri quadrati a Mila, provincia di Catania, con dépendence, magazzini, parco con piscina, terreni e vigne dove Dalla produceva il suo vino «Stronzetto dell’Etna». E la barca Brilli&Billy, nome di due dei suoi cani (erano tre: un labrador bianco, uno nero e il senzarazza Piero), tutta cablata come uno studio di registrazione. Simone Baroncini, figlio di Dea Melotti, nipote ed erede, sostiene che «sono state fatte delle scelte in base a Lucio stesso e quellàppartamento di via D’Azeglio è stato uno degli ultimi acquistati, a cui lui era meno legato». Sarà anche così. Però, in quella casa, Lucio Dalla a capo del letto teneva un’opera di Amico Aspertini, per il quale nutriva un amore particolare, tanto da dedicargli persino una canzone.
Dormiva fra un Cristo disteso in mezzo agli angioli di un quadro napoletano del ’600, le quattro stagioni su vetri ferraresi del ’500, e altre icone ridondanti di colori. In quell’alloggio teneva capolavori invidiati da Vittorio Sgarbi e ammirati da tutti quelli che capitavano a trovarlo, rigirandosi a malapena in quel caos geniale di bric-à-brac e opere d’arte. Prima o poi, anche questo caos finirà all’asta.Il fatto è che il mondo di Dalla sembra come esploso dopo la sua morte, compresi i suoi luoghi, come il campetto di calcio alle Terre di Gaibola o la sala di biliardo sotto le due torri, e il ristorante Cesari con il suo tavolo vuoto. Anche gli amici sono rimasti dispersi e divisi, dopo la rottura degli eredi non solo con Alemanno, ma anche con Bruno Sconocchia, manager di Lucio, con l’avvocato Eugenio D’Andrea, e l’addio alla segretaria Paola e alla governante Tina. Oltre alle freddezze con Ron e con lo stesso Gianni Morandi, rilanciato da Dalla nel suo momento di crisi e convertito pure alla fede durante le lunghe passeggiate sui colli bolognesi («se non ci fosse stato Cristo», gli diceva Lucio, «oggi nella nostra cultura non ci sarebbe l’immagine della bellezza»). Attorno ai cugini sono rimasti altri vecchi amici come Tobia Righi, Bruno Malavasi, la signora dei conti Maria Rosa Turcato e Marzio Cortinovis, erede di una dinastia di esperti d’arte che l’ha aiutato e consigliato nell’acquisto di piccoli e grandi capolavori. Tutto questo mondo così confuso e così diverso – amicizie, passioni, luoghi e bellezze – Lucio non l’aveva costruito per caso. Cerano dentro i suoi sentimenti, generosità e peccati, la sua vita. In fondo, diceva lui, «la cosa di cui sono sicuro è che ancora adesso ho questo caos davanti, non solo su di me, ma come se fosse dappertutto, come se ci fosse in generale. Per cui dico: mi raccomando, non perdetelo completamente, questo caos».