di Wanda Marra inviata a Bologna Il governo “Insoddisfacente”. Il partito? “Un movimento di Renzi”. Ci voleva un Massimo D’Alema in forma smagliante, senza niente da perdere e arrabbiatissimo per sferrare un attacco all’arma bianca a Matteo Renzi. “Diciamocelo, il vero dominus delle nomine europee è stata la Merkel”. Si arriccia i baffi D’Alema sul palco della Festa nazionale dell’Unità di Bologna. Si gratta l’orecchio. Non risparmia la pausa ad effetto. Ed elenca: “Vicino a lei è il presidente della Commissione europea, vicino a lei il presidente del Consiglio europeo, vicino a lei anche il presidente dell’Eurogruppo”. Renzi durante il dibattito pubblico, neanche lo nomina. Accanto a lui Pier Ferdinando Casini non risparmia la battuta: “Sembri invidioso”. E lui: “No, sono oggettivo”. Il fu Lìder Maximo arriva in quella che fu casa sua tre giorni dopo che la nomina di Federica Mogherini a ministro degli Esteri europeo ha certificato la fine delle sue ambizioni internazionali. Per capire quanto gli bruci basta sentire la risposta a chi gli chiede se è vero, come ha scritto Europa (a firma Fabrizio Rondolino, ndr) che è finita la sua carriera politica: “Europa … lei si occupa di stampa clandestina…”.
Poi la classica risposta dall’alto: “Sinceramente io continuo a fare quello che facevo prima. Sono presidente di un’istituzione culturale europea (la Feps, ndr) e faccio parte del gruppo dirigente del Partito socialista europeo”. Ma intanto, boccia l’esecutivo: “Il governo fa degli sforzi, ma i risultati sono insoddisfacenti”. Adesso, “vediamo la manovra. A quel punto, comprenderemo meglio: i cittadini aspettano risposte sostanziali”. Guerdei dalemiani. Ma poi Renzi ha usato tutta la sua autorità per portare sulla poltrona di Mr Pesc (Politica estera e di sicurezza comune) la Mogherini. Fatto sta che D’Alema non si sottrae alle telecamere arrivando. “L’annuncite”? Quel vocabolo “non è un neologismo. Il paragone: “L’Italia ne ha sofferto moltissimo: nel corso dei governi di Berlusconi era un’attività costante”. Poi, ancora, sull’opportunità che Renzi resti segretario del Pd: “Credo che un partito non possa essere il movimento del premier.
Il Pd in questo momento non ha una segreteria, ma un gruppo di persone che sono fiduciarie del presidente del Consiglio. In questo modo il partito finisce per avere una vita molto stentata”. Ma come, gli obiettano ancora, se il Pd non ha mai avuto tanto consenso? Ed ecco l’affermazione che pare un augurio (meglio, un malaugurio): “Il consenso è importantissimo, ma i partiti sono delle comunità di persone che durano nel tempo, al di là del consenso che possono avere in un’elezione e, magari, un po’ meno in quella successiva. Il consenso è un dato fluttuante”. Assomiglia alla profera apta. Eppure tra il Lìder Maximo e il giovane presidente del Consiglio non è sempre andata così. Neanche sei mesi fa (era il 18 marzo) D’Alema aveva presentato con Renzi il suo libro sull’Europa al Tempio di Adriano. “Manderemo in Europa le nostre personalità più forti”, aveva assicurato Matteo. A molti era sembrata un’investitura in piena regola per D’Alema, che avrebbe fatto carte false per occupare quel posto. Quel giorno, giocando sulla comune passione calcistica, aveva regalato al premier la maglia di Totti.
L’altro sembrava gradire o almeno fingeva di farlo. Nel nome della necessità di assicurarsi l’appoggio zia di una Cassandra speranzosa. Poi si va sul palco. Ride e scherza il Lìder Maximo mentre discetta di politica internazionale. Rivendica l’intervento in Kosovo, ricorda che “sui Balcani ci hanno ascoltato”: perché “gli americani ti ascoltano se hai gli attributi”. Approfitta dei jeans rossi di Casini per prendere le distanze dal “giovanilismo”: “Va di moda, ma io sono uno che non si adegua”. La platea (circa 400 persone) ride e applaude. Lui ci prende gusto. Ecco un altro affondo: “È stato Obama a contestare gli attacchi degli israeliani alle scuole di Gaza. Il nostro governo non l’ha fatto”. Quando arriva la domanda ufficiale sulla Mogherini si mantiene sobrio: “È una persona competente, è cresciuta nel partito, sono anni che si occupa di politica internazionale”. Però, “quello che riuscirà a fare non dipende soltanto da lei”. Insomma, ininfluente. Perché “la politica estera non è una competenza europea, ma nazionale. Francia, Regno Unito, Germania la vogliono fare loro”. Finito il dibattito, stringe le mani, se ne va. Aria rilassata di chi non le ha mandate a dire. I rapporti con Renzi, che per mesi erano stati costanti, sono interrotti da quando è diventato chiaro come sarebbe andata a finire a Bruxelles. Non è diventato Mr Pesc, ma D’Alema non rinuncia ad essere D’Alema.