Slot Machine, è l’ora della resa dei conti, tra multe e mafia


di Thomas Mackinson Lo Stato gli chiede 820 milioni di euro per danno erariale, loro rispondono facendo causa ad Alfano per 530. Già che ci sono, fanno pubblicare un’or dinanza vecchia di tre anni. È l’ultimo azzardo in casa Corallo, i re delle slot machine: il tentativo di influenzare per via mediatica i giudici che scriveranno il destino della loro Bplus, la più grande concessionaria di giochi in Italia, ormai arrivata alla bocca dell’imbuto giudiziario-amministrativo in cui è finita da tre anni tra interdittiva antimafia, obbligo di cessione delle azioni e commissariamento. È l’ultimo colpo di scena in una battaglia legale che contrappone lo Stato concedente alla società concessionaria.

SU LA REPUBBLICA tre giorni fa è apparso, con grande evidenza, un estratto che ha fatto alzare il ciglio ai lettori più attenti. Riporta parte di un’ordinanza con la quale il Tribunale di Roma ordina al Viminale di rimuovere dal suo sito un passaggio di una relazione nella quale la Dia ipotizza una contiguità sospetta tra i fratelli Carmelo e Francesco Corallo – figli di Gaetano, personaggio noto alle cronache giudiziarie, tra l’altro, per i suoi affari con il boss Nitto Santapaola – e la mafia. Privo di una data, l’avviso induce a pensare a una decisione recentissima, anzi “urgente”. Non è così. Risale a settembre 2011 e nessun giudice, a tre anni di distanza, ne ha disposto la ripubblicazione. Pochi dubbi sulla paternità dell’iniziativa. “Non è certo nostra”, scandisce il commissario Vincenzo Suppa, chiamato da Raffaele Cantone ad amministrare la società. Bocche cucite alla Manzoni, concessionario del Gruppo L’Espresso.200544828-001

Gli avvocati dei Corallo ben si guardano dal rivendicarla, consapevoli che tentare di creare un clima favorevole al cliente, prima del giudizio, non è pratica che si insegni a giurisprudenza. Dove “prima” vuol dire tre giorni prima. Perché proprio oggi si svolgerà presso il Tar del Lazio l’udienza sul commissariamento disposto dal prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, su richiesta di Cantone. Non solo. Tra un mese, l’8 ottobre, è fissata l’udienza di merito sul ricorso contro l’interdittiva antimafia emessa nel 2012, sempre da Pecoraro. Si tratta del primo atto di rottura tra Stato e Bplus, quello che ha fatto calare un muro su interessi prima convergenti. L’informativa della prefettura ha notificato ai Monopoli che Francesco Corallo era indagato, insieme all’ex presidente di Bpm Massimo Ponzellini, nell’inchiesta sui presunti finanziamenti irregolari concessi dall’istituto di credito.

L’accusa di associazione a delinquere e corruzione fra privati ha fatto ritenere alla prefettura che non si potesse escludere il coinvolgimento di organizzazioni mafiose. A lungo però hanno prevalso gli “interessi pubblici in gioco”: circa un miliardo di imposte l’anno e 300 posti di lavoro. L’interdittiva è stata sospesa più volte e mai revocata, come chiedeva l’azienda (che per questo ha fatto ricorso). In cambio dell’ennesima proroga, nel 2013 la Prefettura ha chiesto ai Corallo l’impegno a separare proprietà e gestione e a spalancare le porte a un “controllore” di legalità.

LA SCELTA cade su Alfonso Rossi Brigante, ex presidente della Corte dei Conti che in una nota del 29 maggio informa però la Prefettura che “la società non consente di esercitare le funzioni proprie del mio mandato, presupposto indefettibile della sospensione temporanea del provvedimento interdittivo antimafia”. Il prefetto di Roma, su sollecitazione di Cantone, dispone allora il commissariamento in forza delle norme varate dal governo Renzi. Bplus si è subito opposta e domani, su questo, si svolgerà l’udienza incidentale. La giustizia amministrativa stringe anche su un altro fronte. Il 15 ottobre è atteso il giudizio sul sequestro cautelativo di 29,5 milioni relativo al procedimento sul mancato collegamento delle slot tra il 2004 e il 2007.

Alcune società hanno conciliato, non Bplus, gravata da una condanna in primo grado della Corte dei Conti a risarcire lo Stato con 820 milioni. Puntuale l’appello che sarà discusso a metà ottobre. I legali della società, costretti a giocare su più tavoli, mettono in campo altre mosse clamorose. Citano in giudizio il ministero dell’In – terno Alfano e il prefetto Pecoraro, per i presunti danni aziendali subiti dall’interdittiva. La richiesta supera il mezzo miliardo. Il Sole24Ore riporta poi che anche lo studio legale londinese Hierons, per conto di Bplus, ha chiesto al prefetto di revocare i provvedimenti. In caso contrario, si rivolgerà all’Alta Corte di Londra.

La sfida Stato-Bplus assume così i contorni di un legal-thriller internazionale, con cifre da capogiro. Ieri si è conclusa la vicenda della sala slot di Piazza Bolivar a Milano. L’apertura era stata bloccata dal Comune perché lo stabile si trovava a meno di 500 metri da alcuni luoghi “sensibili”, tra cui un oratorio. Ieri il Tar ha dato ragione a Palazzo Marino: l’apertura non si farà.

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