Padoan vuole la supervisione UE Renzi: “I tecnici, stagione finita”


Vuole qualcuno che lo controlli, Pier Carlo Padoan. O forse vuole qualcuno che controlli il suo presidente del Consiglio, che lo costringa a rispettare gli impegni presi in sede europea: negli ultimi giorni, forse è una casualità, nei palazzi romani s’è diffusa la voce che Renzi si sarebbe accodato alla Francia, che pochi giorni fa ha rinviato a data da destinarsi il rientro del proprio deficit sotto il 3%. “Il controllo sulle riforme – ha scandito ieri il ministro dell’Economia – è uno strumento utile, perché è uno strumento di controllo tra i Paesi che, da pari tra di loro, si scambiano esperienze. Non è solo un elemento di disciplina ma anche un elemento di apprendimento. Siamo entrati in una fase nuova, tutte le esperienze sono importanti”, ha detto ieri a margine dell’Ecofin informale che s’è tenuto a Milano. La cosa, però, non è passata: niente raccomandazioni per l’Italia, né “ri – chieste di impegni scritti”, ha spiegato il presidente dell’Euro – gruppo, Jeroen Dijsselbloem, “quelli presi sono già noti e contenuti nel Patto di stabilità e nelle raccomandazioni specifiche”.

NELLA LETTERA che aveva inviato ai ministri dell’Economia europea per preparare l’incon – tro aveva parlato addirittura della ricerca di “strumenti per contrastare i Padoan-quando-l-amico-D-Alema-non-lo-salutava_h_partbgruppi di potere che ostacolano le riforme”. Forse i Parlamenti, forse i sindacati o i partiti. Chissà, magari anche gli elettori. Alla fine, accanto a Padoan, c’era il commissario europeo Jyrki Katainen (quello cattivo), che spiegava che “l’agenda del governo italiano è ambiziosa e contiene tutto quel che serve, ma va impletata”, cioè realizzata davvero, per dare “impulso alla crescita”. Qui parte la non elegantissima metafora del finlandese: “Se c’è la ricetta di un medico e sono state comprate le medicine e poi non le prendiamo, non serve a molto”. Ma mica bastano solo le riforme – tipo quella del lavoro – serve pure “il consolidamento fiscale per aumentare la credibilità degli Stati”. Tradotto: l’Italia deve continuare a tagliare le spese e fare il pareggio di bilancio strutturale come promesso.

FINITO? MACCHÉ. Pure Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, ha voluto chiarire il suo pensiero: con le nuove misure della Bce, ha spiegato dopo l’Ecofin, “c’è pericolo che i politici allentino i loro sforzi per le riforme e che gli investitori assumano un rischio eccessivo cercando guadagni, che possono mettere a rischio la stabilità finanziaria”. Anche quel poco che ha fatto Mario Draghi, insomma, è stato troppo per la Banca centrale tedesca e ora bisognerà controllare quegli spendaccioni dei politici del Sud Europa. Matteo Renzi, però, dal palco della Fiera del Levante di Bari, come prima cosa mette a verbale un concetto che non suonerà piacevole alle orecchie di Padoan, di Weidmann e dei propugnatori del controllo europeo sulle “riforme”: “Dopo anni di ubriacature per soluzioni tecniche o tecnocratiche è arrivato per la politica il momento di fare la sua parte”. E qual è il suo compito primario? Forse chiedere di essere controllati? Non proprio: “Noi andiamo in Ue a chiedere conto dei 300 miliardi di euro di investimenti annunciati da Juncker, vogliamo sapere quando li mettono. Smettiamola con la cultura del piagnisteo, noi siamo alla guida dell’Ue, dobbiamo farci valere per quello che siamo”. Da Milano, però, le notizie non sono buonissime da questo punto di vista: Padoan, finito il vertice, ha detto che “la Commissione e la Banca europea degli investimenti studieranno progetti di investimenti da illustrare in tempi brevi ai governi”.

SIAMO agli approfondimenti, insomma: non una cifra, non una data, solo l’impressione del nostro ministro che “l’Europa si sta avviando verso una strategia sulla crescita e l’occupazione che è esattamente l’obiettivo della presidenza italiana”. Sarà, ma il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, è sembrato meno ottimista: non è dagli Ecofin che arrivano le soluzioni, ha spiegato, e alla fine del vertice “l’Italia rimane coi suoi problemi”. Non basta nemmeno fare le riforme: “Per la ripresa serve sostanzialmente senso di responsabilità e una visione coerente, poi le riforme bisogna continuare a farle, ma non è che ognuna di queste può risolvere il problema, bisogna prenderle tutte nel loro insieme”. E finora, sempre nel racconto di Visco, l’unico risultato è che c’è accordo “sul fatto che c’è un problema europeo a livello di investimenti” e “sul fatto che la domanda è molto bassa”. Anche Renzi, nel suo discorso, s’è ovviamente buttato sulle riforme di fare: “Da 20 anni ci promettiamo di cambiare il Paese e non lo facciamo, rimandiamo in nome di una malattia che si chiama ‘riformi – te’. Ora dobbiamo farle per rendere il Paese più semplice e meno caro”. Come si fa? Semplice: grazie a lui, “che ha la testa dura, non molla e va avanti”, mentre “sugli spalti c’è la gente che fa il tifo”. Per lui.

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