Per avere sempre presente il concetto, si è fatto tatuare sul collo la scritta “Patience”, pazienza. Non che sia servito a granché perché, anche se di nome fa Justin Bieber, ha venduto quasi 20 milioni di dischi e i suoi video musicali su Internet sono stati rimirati tre miliardi di volte, puntualmente ci ricasca. Prima a luglio, prendendo a pugni l’attore Orlando Bloom in una discoteca di Ibiza, quindi a Los Angeles, facendo pestare dalla sua guardia del corpo un paparazzo che poi l’ha denunciato. A poco, deduciamo, è servita la condanna dei giudici di Miami che, a Ferragosto, per aver partecipato a una corsa clandestina sotto l’effetto di droga e tranquillanti, l’avevano obbligato a seguire un corso intensivo per combattere la sua vera nemica: la rabbia. Un’emozione subdola e sempre più diffusa, non solo tra le star.
Che può avvelenare l’esistenza fino a diventare un pericolo. Stiamo esagerando? «No, il “disturbo di controllo degli impulsi”, cioè la rabbia impossibile da limitare, è il male di questi anni e può sfociare nella violenza», spiega il neurologo Rosario Sorrentino che non Cinzia Taniha scritto Rabbia! (Mondadori). «È un sentimento primitivo fortissimo, che va in ogni modo canalizzato per evitare che sovrasti la parte razionale del cervello». È quella forza oscura e potentissima che esplode, all’improvviso. Magari con un pretesto banale: una precedenza automobilistica mancata, la fila alle poste saltata, quel piccolo gesto di maleducazione. «Esiste una rabbia cronica», continua il neurologo, «che è un approccio rancoroso alla vita.
Poi c’è la rabbia esplosiva, dove attacchi periodici d’ira nascondono la fragilità dell’individuo. E c’è la rabbia accessuale, che scatta solo in contesti specifici: per esempio, c’è chi si arrabbia sempre in auto e mai al lavoro». Le ragioni non sono solo personali. «La società ci vuole tutti condannati a vincere, piacere, funzionare. Se non riusciamo, la rabbia è un modo per spostare l’attenzione su qualcosa di meno sconveniente delle nostre sconfitte». Occhio ai campanelli d’allarme. «In primis, attenti agli sbalzi d’umore», continua il neurologo. «Ma non solo: se è nascosta, l’ira fa sì che il cervello pian piano attacchi il corpo. Si somatizza con la sindrome del colon irritabile, mal di testa, palpitazioni improvvise, tensioni muscolari, aumento della pressione del sangue. E infine si fatica a dormire bene. Tutti segni di un disagio che il cervello elabora in modo negativo». Dunque, meglio rivolgersi a un esperto. «L’ira può diventare la spia di forme di disagio mentale, come depressione, attacchi di panico, disturbo bipolare. Inoltre, dietro la rabbia, potrebbero celarsi forme di alterata personalità, dove prevale la mancanza di autostima o la timidezza in forme estreme, la cosiddetta fobia sociale».
E quando si è arrivati alla diagnosi? «Si interviene in modo multitematico. L’approccio più efficace per una generica forma di rabbia è lo sport: correre, nuotare, pedalare è sinonimo di un’autodisciplina che consente di avvalersi di quella “farmacia” personale che è il nostro cervello. Muoversi, infatti, stimola la produzione di sostanze che alimentano il controllo di noi stessi come serotonina, dopamina, endorfine». E quando il disagio è più complesso? «Serve una terapia mirata di tipo farmacologico e una psicoterapia breve di tipo cognitivo-comportamentale per aiutare la persona a desensibilizzare la rabbia facendo leva sulla parte razionale del cervello. Inoltre funzionano benissimo le tecniche di rilassamento. Una strategia di contenimento a tutto tondo per far sì che la rabbia non esploda più».