Yara Gambirasio: L’inchiesta su Bossetti diventa tutta al femminile


Massimo Bossetti è in carcere, in regime d’isolamento, da due mesi e mezzo. Non ha mai cambiato versione, non ha mai ammesso nulla: «Io non c’en- tro. Non ho ucciso Yara Gambirasio. State sbagliando tutto». Attorno a lui si è aperto uno scontro fatto di indiscrezioni e rivelazioni, smentite, mutismi, allusioni. Niente di ufficiale, nulla su cui si possa apporre un timbro definitivo. Nessuna perizia sembra essere conclusa, tutto ciò che filtra dalla Procura di Bergamo sono, appunto, indiscrezioni. Né conferme né smentite. La battaglia processuale è ancora lontana, le schermaglie sono però già continue: è una battaglia psicologica con tre protagoniste. Da una parte Letizia Ruggeri, il pubblico ministero che una sola volta, in conferenza stampa, dopo l’arresto di Massimo Bossetti, ha parlato dell’inchiesta. È lei a tessere la tela dell’accusa, pazientemente. Nel massimo riserbo.

Dall’altra le due donne che difendono strenuamente l’uomo accusato di aver ucciso Yara: Marita Comi, la moglie, ed Ester Arzuffi, la mamma. Sono loro a negare, negare, negare. Ostinatamente, a volte ingenuamente o forse con spregiudicatezza. Come fa Ester Arzuffi che, di fronte a perizie genetiche certificate e ripetute, continua a negare che suo figlio Massimo e la gemella Laura siano nati dalla relazione clandestina con l’autista di pullman Giuseppe Guerinoni. Come se l’ammissione di questa verità che sembra incontrovertibile potesse far cadere tutto il castello costruito per difendere il figlio. Se Letizia Ruggeri tace, dai corridoi della Procura le indiscrezioni escono. Voci, anticipazioni di perizie e testimonianze. Che servono a costruire mattone su mattone l’accusa. Ma anche probabilmente a minare la sicurezza psicologica dell’accusato e a incrinare l’immagine di famiglia normale e serena nella sua routine che Marita Comi, anche nel memoriale esclusivo pubblicato da Gente nei numeri 33 e 34, ha con convinzione accreditato. 211148889-f31b6d50-45b2-4e85-bf3c-549dbb6f20c4

«Ma quale irreprensibile padre di famiglia?», sembra voler dire l’accusa. Nel computer di Massimo Bos- setti, sequestrato e analizzato fino all’ultimo microchip, sarebbero state trovate tracce di ricerche esplicite: Bos- setti avrebbe digitato la parola “tredicenni” seguita da caratteristiche e dettagli pornografici. Non una, ma più volte, l’ultima a maggio, un mese prima dell’arresto. «Mai fatto queste ricerche», avrebbe ribattutto Bossetti interrogato, «e poi io ho un figlio di 13 anni, sarà stato lui a smanettare sul computer». La Procura, come d’abitudine, non conferma e non smentisce. E comunque la perizia sarebbe ancora in corso: finora sarebbero state trovate cinque ricerche di questo tipo. 1 difensori di Massimo Bossetti, Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni, non replicano per ora. Anche perché si tratta, appunto, di indiscrezioni: solo quando le perizie verranno rese ufficiali la difesa potrà acquisirle, studiarle ed eventualmente controbattere. Sarà facile però per gli avvocati ricordare un altro caso celebre, quello di Garlasco: Alberto Stasi fu accusato di possesso di materiale pedopornografico, ma al processo non è stato possibile dimostrare che quel materiale fosse stato scaricato volontariamente. Perché è vero che Internet ha una memoria infallibile, ma è altrettanto vero che navigando in Rete ci si può imbattere anche in ciò che non si cerca.

Lo ha spiegato bene Paolo Reale, consulente informatico nel caso dell’omicidio di Chiara Poggi e fondatore con altri dell’Osservatorio nazionale di informatica forense: «Accedere ai siti porno nasconde la possibilità che si aprano pubblicità o che automatica- mente vengano scaricati elementi indesiderati». Anche se, nel caso del computer di Bossetti, si tratterebbe proprio di ricerche mirate sulla parola tredicenni. Anche per questo elemento bisognerà però aspettare la conclusione delle indagini per capire che cosa ha realmente in mano la Procura di Bergamo. Così come in Tribunale si discuterà dell’altro sensazionale elemento emerso nelle ultime settimane e che mette a dura prova Limmagine di famiglia serena, quasi annoiata nella tranquilla banalità delle consuetudini. Dai tabulati telefonici sarebbero emerse lunghe telefonate di Marita Comi con due uomini. Convocati dalla Procura, ovviamente separata- mente, i due hanno detto: «Sì, abbiamo avuto una relazione con Marita». Rivelazioni importanti per le indagini? No, a prima vista. Sì, se visto nell’ottica di chi le indagini le conduce.

Che fa trapelare così un ennesimo mattone messo a rinforzare l’accusa: nessuna famiglia felice, nessuna routine noiosa. Dietro le mura di quella casa cerano segreti. E se Massimo non sapeva che cosa faceva Marita, nemmeno Marita sapeva che cosa faceva Massimo. Ma lei, Marita Comi, nega: «Non ho avuto nessuna relazione al di fuori del matrimonio», dice. E la difesa fa intendere che è tutta una bufala, che la cosa si sgonfierà. E, come per il resto, attende di conoscere nomi dei due presunti amanti e le circostanze degli incontri. Insomma, le prove. Intanto però il messaggio è arrivato: anche e soprattutto a Massimo Bossetti. Come dire: le due donne di cui ti fidi mentono, hanno mentito anche a te. Tua madre non ti ha rivelato la verità sul tuo vero padre: tua moglie ti ha tradito. Sei solo, tutto intorno a te sta crollando. Sembra non crollare, però, Massimo Bossetti. Nonostante l’isolamento. Nonostante, soprattutto, il macigno enorme che si trova sulla strada della sua difesa. Perché contano i presunti amanti e le ricerche su computer. Ma conta soprattutto quel Dna sugli indumenti intimi di Yara. Su quelle mutandine c’è materiale genetico di Bossetti. Nessuna spiegazione possibile («Mi hanno rubato gli attrezzi di lavoro», ha detto l’accusato) è finora sembrata convincente. Quel Dna c’è, esiste. Ed è, ne è sicura la Procura, il Dna dell’assassino. È il Dna di Massimo Bossetti. È questa la cosiddetta “pistola fumante”, la prova regina. È contro questo macigno che si scontrerà la difesa. Come? «Abbiamo elementi importanti che riveleremo al momento giusto», fanno sapere i legali. Intanto però quel test del Dna rimane lì, incancellabile. Più forte di qualsiasi indiscrezione, unico raggio certo di luce in una storia atroce di menzogne e silenzi.

Condividi