Maranello, lo scontro finale


di Carlo Tecce Un’ora e poco più di colloquio, un pacchetto di sigarette quasi vuoto, documenti sventolati che, per un attimo, sembravano davvero pugnali. Il faccia a faccia a Maranello, ufficio del presidente (che presto subirà un trasloco), tra Luca Cordero di Montezemolo e il tabagista incallito Sergio Marchionne è stato più desolante di una Ferrari in avaria. Quando va intarsiato un accordo, per tradizione diplomatica, si fa sapere che le parti sono distanti: tra nemici che mai sono stati amici, qui la distanza è enorme. E conta il denaro e non soltanto il denaro, che va stimato con sette, otto zeri di buonuscita: decine e decine di milioni di euro per sigillare oltre vent’anni al Cavallino. Conta il rancore, che s’è alimentato negli ultimi mesi e che Marchionne da Cernobbio, esibitosi in un licenziamento pubblico, ha trasformato in desiderio di vendetta. E così il capo di Fca (Fiat–Chrysler), che voleva liquidare in 60 minuti (tradotti in 15/20 sigarette) la carriera di Montezemolo in Ferrari, ha incassato l’avvertimento del prediletto di Gianni l’Avvocato: o troviamo un’uscita onorevole e mi dai quel che merito o ti avviso che gli avvocati sono pronti. E molto pronti: pare che le carte siano soltanto da firmare.

OGGI SARÀ una giornata di riflessioni, mediazioni, ma domani ci sono due appuntamenti decisivi: a Maranello si riunisce il Consiglio di amministrazione del Cavallino che potrebbe sancire l’uscita di Montezemolo; a Torino ci sarà la presentazione di un nuovo modello di Jeep. Marchionne voleva sfruttare questa passerella mediatica per declamare la nuova stagione Ferrari, persino con le conferme degli attuali piloti di Formula 1, Fernando Alonso e Kimi Raikkonen. Forse sarebbe prematuro, già domani, fare riferimenti a un suo eventuale insediamento a Maranello, che gli attuali dirigenti danno per scontato.

Marchionne-fondo-magazinePER QUANTO non sia un problema irrisolvibile, non va escluso un coinvolgimento diretto di John Elkann: perché altrimenti, si ragiona in queste ore, l’operazione potrebbe sembrare una scalata dell’italo-canadese Marchionne a quel che resta di un impero di famiglia e di eredi. Ai suoi collaboratori, Montezemolo fa intuire che in quest’addio c’è spazio per un po’ di sentimenti, molta gratitudine per una fabbrica- modello, che presidia un mercato in espansione, che non mescola prodotti di qualità a schifezze per risparmiare: “I tifosi sono con me, l’azienda mi è vicina, chi lo spiegherà al mondo che la Ferrari vincente e desiderata diventa americana?”, è lo sfogo più frequente che accompagna il congedo di Montezemolo. Poi ci sono i ricaschi storici, che non vanno sottovalutati: la rivincita dei fratelli Elkann (di John in particolare), figli di Margherita, non certo indottrinati all’ammirazione per il preferito del nonno. Gli amici di Montezemolo, quelli che riescono a superare il filtro degli assistenti (ai quali ieri per un po’ ha consegnato il telefono), spiegano che Luca è proiettato verso i prossimi incarichi: entro un mese, non troppo avanti, sarà presidente di Alitalia, garante degli arabi di Etihad che ha portato in Italia, che ha presentato a Matteo Renzi, allora premier incaricato e dunque senza governo.

SU DI UN PUNTO non vuole cedere, Montezemolo: non vuole rassegnare dimissioni che sanno di fuga, di scappatoia immediata (e con un’incredibile somma di denaro) appena Marchionne pronuncia due o tre parole ai giornalisti. Non vuole, e questo lo ripete sempre, passare per il debole che viene sconfitto dal granitico Marchionne. E non vuole dare soddisfazione a John Elkann, che l’ha estromesso da Fiat senza una telefonata e sperava, chissà, di abbracciarlo a Villar Perosa per i suoi dieci anni di matrimonio. Montezemolo non vuole mancare di riconoscenza a una famiglia, che per sua convinzione è cambiato col tempo. Forse non manderà nella mischia un gruppo di avvocati, però non vuole soccombere a Marchionne. Il dubbio è che neanche Marchionne è un tipo che accetta di vincere senza fare la goleada. Mediatica, s’intende.

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