Davide Bifolco, prove di pace a Napoli, il comandante si toglie il cappello


Vincenzo Iurillo Napoli Due gesti di distensione per spegnere la rabbia che incendia il ventre molle di Napoli dopo la morte del 17enne Davide Bifolco. Due gesti di pace e di solidarietà, da leggere come appelli alla calma e alla reciproca comprensione. NEL POMERIGGIO il sindaco di Napoli Luigi de Magistris è andato al rione Traiano a trovare la famiglia del ragazzo, ucciso da un colpo di pistola esploso da un appuntato del nucleo radiomobile dei carabinieri al termine di un inseguimento scattato dopo un posto di blocco violato. “Mi impegno a sostenere ogni richiesta di accertamento della verità – ha detto de Magistris ai Bifolco – ma evitiamo scontri tra cittadini e istituzioni”. Poche ore dopo il comandante provinciale dell’Arma, Marco Minicucci, si è tolto il cappello in segno di rispetto su richiesta dei manifestanti dell’ennesimo corteo spontaneo che si è snodato per la città al grido “Giustizia per Davide” tra striscioni contro “lo Stato assassino”. Corteo che stavolta ha raggiunto la caserma Pastrengo di piazza Carità. “Noi lo facciamo per Davide, ma il cappello non è un’offe – sa”, ha detto pacato il comandante. “Per noi sì”, si è ascoltato. “Allora me lo tolgo”.

E dalla folla sono partiti gli applausi. Ma non sono mancati i momenti di tensione. “Dateci un’ora il carabiniere” le parole di Gianni, un cugino di Davide. “L’autorità giudiziaria sta facendo gli accertamenti, su questo bisogna stare tranquilli – ha risposto Minicucci – voi siete qui per avere giustizia e chiedere di lasciarvelo un’ora non è il modo giusto per farlo. Ad accertare la verità ci penseranno i magistrati. Stiamo qua, siamo vicini alla famiglia, soffriamo come loro, non ci stiamo nascondendo, né abbiamo chiuso la caserma. Tutti siamo addolorati dalla perdita di un ragazzo di 17 anni”. Il corteo si è prolungato fino a piazza del Gesù dove, davanti alla chiesa del Gesù Nuovo, si è tenuta una preghiera e un sit in. “Davide non è morto inutilmente, impariamo da questo a vivere meglio e più intensamente”, ha detto don Vincenzo Sibilio, parroco del Gesù Nuovo, che ha pregato con gli abitanti del rione Traiano. “Facciamo di questo un momento importante – ha detto –. Vi chiedo una delle due foto di Davide e la terrò nel mio ufficio”.

QUELLA DI OGGI è una giornata fondamentale sul versante dell’inchiesta giudiziaria. Stamane sono previste l’au – topsia e l’esame balistico, per accertare se il proiettile è entrato frontalmente – la tesi del carabiniere indagato per omicidio colposo, che parla di colpo accidentale – oppure di spalle, come affermano amici e familiari del ragazzo, corroborati dalla testimonianza di un testimone oculare che sostiene di aver visto il militare mirare verso Davide. Poi la salma potrà essere restituita alla famiglia per la celebrazione dei funerali. Franco Maccari, segretario del Coisp, sindacato delle forze di polizia, sostiene che “secondo quanto risulta dalle fotografie pubblicate dai familiari, il foro di proiettile sulla spalla è chiaramente di entrata e non di uscita” e parla di “so – lita gogna mediatica scatenata contro un agente in divisa chiamato a compiere il proprio lavoro”. Sulla pubblicazione delle foto di Davide steso su un tavolo dell’obitario, postate su Facebook e poi riprese da numerose testate, la Procura di Napoli avrebbe aperto un fascicolo- bis per accertare le modalità della diffusione.

CatturaArturo ’o latitante: “Su quel motorino non c’ero”

di Enrico Fierro Quella sera non ero sul motorino con Davide Bifolco. Non c’ero, lo volete capire o no?”. Parla Arturo Equabile, il latitante che i carabinieri cercavano nelle strade di viale Traiano tra venerdì e sabato, la malanotte degli inseguimenti e della sparatoria, di quel colpo “a ccidentale” che ha stroncato la vita di Davide Bifolco, 17 anni. “Un’ora prima del fatto sono venuti i carabinieri nella casa dove stavo. Erano con le pistole in pugno e gridavano apri, bastardo. Ho avuto paura e sono scappato in un’altra casa. Dopo tre quarti d’ora ho saputo che in un’altra parte del quartiere c’era stata la sparatoria”.

ARTURO EQUABILE ha 22 anni e una figlia, la sua è una delle tante vite sbagliate cresciute nel ventre di Malanapoli. Perché era latitante? “Sono latitante per un furto che non ho commesso… ho spezzato i domiciliari e i carabinieri sono incazzati con me perché non riescono a prendermi”. Quali reati ha commesso? “Nessuno, sono imputato perché delle persone avevano delle microspie in auto e parlavano di un furto e di un certo Arturo, ma quello non ero io”. Storie di una Napoli difficile, sempre in bilico tra legge e malavita. Perché Arturo Equabile afferma che i carabinieri ce l’hanno con lui? “Perché scappavo. Venivano per prendermi e io scappavo, e loro si incazzavano. Qualcuno diceva che se mi prendevano i carabinieri mi ammazzavano. E io mi chiedo perché hanno ammazzato Davide? Al posto suo potevo esserci io. Ma i carabinieri o la polizia hanno tutto il diritto di arrestarmi se mi trovano, non quello di uccidermi. Hanno minacciato mia zia, ‘apri se no spariamo’, dicevano. Hanno pure fermato un ragazzo di Fuorigrotta perché mi somigliava tanto”. Ha mai avuto problemi con la giustizia? “Da minorenne sì, piccole cose, però”. Perché non si costituisce, signor Equabile? “Fino ad oggi non l’ho fatto perché mi ritengo innocente e non voglio pagare per un furto che non ho fatto”. L’avvocato della famiglia Bifolco le ha chiesto nei giorni scorsi di consegnarsi alla giustizia per rispetto di Davide e dei suoi genitori. “E io giuro che lo farò, aspetto solo che il mio avvocato mi porti il fascicolo. Mi costituirò per dire la verità sulla morte di Davide, ma i carabinieri devono arrestarmi, non spararmi. Ho paura, voglio che nessuno mi faccia del male, non voglio fare la fine di Cucchi…”.

ARTURO EQUABILE ci lascia così, presto (ore o giorni) si consegnerà all’autorità giudiziaria, davanti a un magistrato potrà dire dov’era la sera della morte di Davide Bifolco, potrà smentire o confermare la versione data da uno dei tre ragazzi a bordo del motorino che escludeva la sua presenza. È un tassello importante di una inchiesta difficile, avvolta da troppe ombre e da troppi tentativi di deviare l’atten – zione dai fatti al contesto sociale, Napoli e le sue periferie, dove vivevano Davide e i suoi amici. Ci sono testimonianze contraddittorie, fotografie scattate a caldo, filmati delle telecamere di videosorveglianza, gente che ha visto. Il carabiniere che quella notte inseguiva Davide ha affermato che il colpo che ha ucciso il ragazzo è partito accidentalmente dalla sua arma. “Se avevo il colpo in canna – ha spiegato – è perché io e il mio collega inseguivamo un latitante. Non sono mai stato un Rambo, non ho neanche immaginato di puntare la pistola. Sono inciampato quella notte, mentre bloccavo l’altro giovane che si divincolava. Se si fa una perizia si vedrà che c’è il gradino”.

MA IERI un altro testimone oculare ha raccontato una storia diversa. “Stavo sul balcone a fumare una sigaretta quella sera, con me c’era un mio amico. Era da poco passata la mezzanotte e sentivo le sirene delle volanti, ne ho vista passare una sgommando. Passano un paio di ore e vedo un motorino scappare. C’era una macchina che lo inseguiva da dietro e una che era di fronte. Hanno tamponato il motorino e tre o quattro carabinieri si sono lanciati in un inseguimento. Davide era a terra, si agitava. Il carabiniere ha puntato la pistola e ha sparato a un metro, un metro e mezzo di distanza e ha sparato ad altezza d’uomo. Un suo collega, uno senza capelli, ha preso Davide che era caduto a terra per la testa. Gli diceva alzati, alzati. Dopo pochi minuti è arrivata anche la mamma del ragazzo, non sapeva cosa fosse successo, ha visto il figlio morto e ha abbracciato un carabiniere. Poi uno dei ragazzi ammanettati ha detto ‘sono stati loro’ ed è scoppiato l’inferno. La gente si è ribellata e ha aggredito i carabinieri, ma solo verbalmente”.

Condividi