Fare i bagagli per un viaggio di sei mesi è complicato, se poi la destinazione è a 400 km dalla Terra, be’, provate a immaginare. Ma per Samantha Cristoforetti non ci sarà tanto da pensare. «11 mio bagaglio a mano», ci spiega l’astronauta trentina e prima donna italiana in missione nello spazio, «quello che potrò portare con me a bordo della Soyuz, il veicolo spaziale russo che ci condurrà alla Stazione spaziale internazionale, dovrà pesare al massimo un chilo e mezzo: non granché, ma abbastanza per piccoli ricordi della famiglia e degli amici che voglio avere accanto lassù». Avrà con sé anche il suo Imak. «No, non ricordo cosa significa quell’acronimo, ma “medico” e “kit” nc fanno probabilmente parte», sorride lei. «Si tratta di una specie di cassetta delle medicine, anche se sulla Stazione ogni membro dell’equipaggio ne avrà una più grande. Questa serve come precauzione, nel caso qualcosa andasse storto e il viaggio durasse due giorni anziché sei ore». E poi il kit personale indossabile dell’equipaggio.
«La tavoletta da ginocchio con penne e matite, e relativi cavi di fissaggio, strisce di velcro, cronometro portatile, torcia elettrica e, sì… il sacchetto dell’emesi. È una bella parola per quella bustina che potrebbe tornare utile se l’ultimo pasto sulla Terra non volesse proprio rimanere nello stomaco!», scherza Samantha. Ora è a Star City, 30 km da Mosca, dove sta completando l’addestramento per la missione Futura dell’Agenzia spaziale italiana cominciato tre anni fa, e dove martedì 28 ottobre ha appreso la notizia dell’esplosione, pochi secondi dopo il lancio dalla base Nasa di Wallops in Virginia, del razzo vettore Antares. In fumo, con il prezioso carico (del valore di circa 26 milioni di dollari), anche due degli esperimenti dell’Agenzia spaziale italiana cui Samantha Cristoforetti, ingegnere meccanico e capitano pilota dell’Aeronautica militare, si sottoporrà durante la missione: di entrambi i test infatti esiste una copia e sarà rispedita in orbita al più presto con un altro lancio-cargo. «Uno degli esperimenti ha l’obiettivo di verificare l’ipotesi per cui fra le cause della sclerosi multipla ci sarebbe il restringimento dei vasi sanguigni di testa e collo, l’altro studia il sonno con una maglietta sensor¡zzata in grado di misurare ritmo di cuore e respiro, ma ce ne sono molti altri. Addirittura uno sul funzionamento di una macchinetta del caffè: in tutto circa 200». A vivere lassù, dove la temperatura sarà di 22 gradi costanti, non importa se fuori si arriverà a centinaia di gradi sotto o sopra lo zero a seconda che sia notte o giorno, Samantha e i due colleghi, l’americano Terry Virts della Nasa e Anton Shkaplerov dell’Agenzia Spaziale Russa, dovranno abituarsi. «Ti dicono tutti che quando arrivi lì per almeno un paio di settimane non funzioni, sei lenta, devi adattarti».
A dormire in quelle cuccette grandi come cabine telefoniche, per esempio: a capire se è meglio fissare la testa, fermare le gambe, o accovacciarsi. A vestirsi: perché lassù non c’è modo di lavare gli indumenti, che una volta usati diventano immondizia da smaltire su uno dei veicoli cargo che rientra nell’atmosfera distruggendosi. «Già: avremmo solo sei paia di pantaloni per tutta la missione, ma io ho aggiunto degli indumenti nel piccolo volume personale, tipo una grande scatola di scarpe, che ho mandato con un veicolo cargo e che già mi aspetta sulla Stazione. Pantaloni morbidi, come una tuta, qualche felpa calda in più e una dozzina di calzini». Dunque, tutto pronto per il grande giorno, il 23 novembre alle 21.59’06” ora italiana, quando la Soyuz partirà dal cosmodromo di Baikonour, Kazakistan. «Ci saranno familiari e amici e la giornata, scandita da un programma preciso, si conclude con il bus che ci porta al cosmodromo per la vestizione, sulle note di una famosa canzone russa degli anni Ottanta che si chiama La terra nell’oblò. Un ultimo saluto alla famiglia e poi via verso la rampa di lancio». E a questo punto non ci sono dettagli attesi più di altri. «Perché non ce niente che valga come l’esperienza completa, andare nello spazio, sentire le sensazioni, gli odori, i rumori. Vivere tutte le cose che ti hanno raccontato e che hai studiato, trasformarti un po’ alla volta in un essere umano spaziale». Il sogno di quando, bambina, scrutava i cieli stellati delle montagne o restava incantata davanti a Star Trek. Per il dopo, l’astronauta non ha ancora un sogno. «Mi piace l’idea di avere un po’ di tempo per dedicare alle cose che ora non posso fare. Migliorare nello yoga, imparare il cinese, visitare amici che non vedo da troppo tempo, leggere romanzi, aggiornarmi su quel che succede nel mondo della scienza e della tecnologia». Ma non solo. «La parola sogno», conclude Samantha Cristoforctti, «non bisogno usarla alla leggera: non so per quanti sogni ci sia spazio in una vita».