Internet è uno strumento formidabile che ha permesso di abbattere le barriere della comunicazione e portare l’interazione fra le persone a un livello inimmaginabile anche solo una decina di anni fa. La sua potenza è tale che il flusso di informazioni, un tempo veicolato solo dalla carta stampata e dalla televisione, ha assunto una portata imponente. Ma al “potere digitale” si accompagnano grandi rischi. Ed a rimetterci è la democrazia.
Dalla democrazia digitale ai grandi portali
All’avvento di internet si sognava una sistema di comunicazione orizzontale, che permettesse a tutti gli utenti di comunicare secondo modelli di partecipazione e democrazia. Oggi questo modello è minato da quattro elementi:
1. Algoritmi dei motori di ricerca
I blog e le piattaforme di condivisione opensource (in apparenza, la massima espressione della democrazia nel web) vengono discriminati dagli algoritmi dei motori di ricerca, che ne definiscono indicizzazione e posizionamento dei contenuti. Primi fra tutti, in Italia, Google e Bing.
2. Algoritmi delle piattaforme social
Il problema principale sono gli algoritmi delle piattaforme social, che sfruttano la loro “forza” nel discriminare in maniera verticale i contenuti degli utenti. Tutti i grandi portali, da Facebook a Twitter, a Instagram, a Youtube influenzano, condizionano la visibilità di post e video generati dagli utenti determinandone la diffusione.
3. Comportamenti malevoli degli utenti
Tali comportamenti sono da associare sia a publisher di contenuti (spesso fuorviati da interessi economici) che agli utenti, che contribuiscono alle discussioni attraverso commenti a post ed articoli (commenter). Nel primo caso assistiamo alla pubblicazione di articoli faziosi, parziali e tendenziosi e, nei peggiori dei casi di vere e proprie fake news.
Nel secondo caso rientrano invece utenti che manifestano una particolare tendenza a commentare in maniera negativa su blog, ed in particolare sui social network, suo habitat naturale.
Cosa possiamo fare?
Mentre gli algoritmi non si possono cambiare, ma possiamo solo subirne il condizionamento (magari con maggiore cognizione critica), sul terzo punto possiamo e dobbiamo fare di più.
Cercando in primis, di aumentare la nostra consapevolezza e spirito critico nei contronti di publishers e commenters. Difendersi è possibile, basta imparare a riconoscerli.
Fake news, le notizie false che ci disorientano
Le fake news sono informazioni false che vengono spacciate per autentiche sui media (cartacei, televisivi e online) al fine di influenzare l’opinione pubblica. Fake news e shitstorm sono fenomeni in grado di danneggiare tanto i singoli individui quanto le multinazionali, con ripercussioni su economia e posti di lavoro.
Questa operazione viene compiuta da soggetti che intendono trarre un vantaggio di tipo politico (favorendo l’elezione di un candidato), finanziario (provocare il panico o alimentare la fiducia in un brand) oppure denigrare e demonizzare una specifica etnia/religione. In un ristretto numero di casi online, l’obiettivo è prettamente economico: spingere gli utenti a cliccare su un articolo dal titolo clamoroso, facendolo diventare virale e traendo guadagno dall’incremento del traffico (clickbaiting).
Le fake news esistono da lungo tempo. La differenza è che 500 anni fa si appendeva satira pungente in pubblica piazza (ricordate la “pasquinata” del 1501 sul bronzo riciclato dai Barberini per il Baldacchino di San Pietro?), oggi si usano siti che richiamano nomi storpiati delle testate famose. Un classico esempio è IlFattoQuotidaino (storpiatura de Il Fatto Quotidiano), che imperversa su Facebook.
Una categoria di fake news atipiche è quella satirico–parodistica: in questo caso non c’è alcuna mira utilitaristica, ma solo la volontà di fare satira e spesso di prendere in giro gli autori delle “vere” fake news. Un esempio classico è quello del sito internet Lercio. Le fake news sembrano inarrestabili. Ma davvero non si può far nulla per contrastarle?
Senza dubbio si può (e si deve) fare molto. Quando navigano, gli utenti devono analizzare i contenuti in modo più approfondito, ricercare le fonti e imparare a distinguere gli articoli seri da quelli fasulli. Solo a questo punto si potrà condividerlo, evitando di diffondere falsità. Di recente colossi del web come Facebook che Google, criticati per non aver controllato attentamente le informazioni, hanno annunciato norme più stringenti. Resta da vedere se sarà sufficiente.
I troll: chi sono e perché si comportano così
Nello slang di internet, un troll è una persona che interviene nelle discussioni di chat, blog e forum con commenti volutamente provocatori allo scopo di seminare discordia e condurre a un litigio. Non tutti gli atteggiamenti polemici sono inseribili in questa categoria. Quando però l’utente fa affermazioni estranee al tema del discorso, pretestuose, cambiando spesso argomento è chiaro vuole suscitare una reazione emotiva al fine di sabotare la discussione.
In tal caso siamo di fronte a un troll.Ve ne sono di due tipi: chi lo fa perché viene pagato da un soggetto esterno e chi lo fa per puro piacere personale.
Troll a stipendio
Nel primo caso, siamo di fronte a un team di persone a stipendio che frequentano siti e social network con il preciso scopo di commentare a sproposito, mettendo in buona o cattiva luce un determinato soggetto oppure portando il caos nella discussione.
Ad esempio le elezioni presidenziali americane del 2016 sono state particolarmente controverse, perché influenzate da troll russi che avrebbero diffuso notizie inventate per favorire la vittoria di Donald Trump. Altre polemiche hanno riguardato il governo cinese e l’Arabia Saudita, che secondo un articolo del New York Times avrebbe usato dei troll su Twitter per screditare il giornalista dissidente Jamal Khashoggi, sconvolgendo ogni discussione online sulla scarsa democrazia nel paese mediorientale.
Troll per piacere
Diverso è il caso dei troll per piacere, quelli che provocano e boicottano le discussioni per puro gusto. Non si tratta di semplice maleducazione: chi si comporta così ha soffre spesso di disturbi psicologici. Come messo in evidenza anche da uno studio di ricercatori canadesi, il profilo psicologico tipico comprende comportamenti antisociali, mancanza di empatia e di senso di colpa, narcisismo e persino tratti sadici. Statisticamente, sono per la stragrande maggioranza di sesso maschile.
Chi prova piacere a offendere e perseguitare gli altri sfruttando l’anonimato del web è attirato da ciò che gli psicologi chiamano “ricompense sociali atipiche”, nello specifico la creazione di sofferenza e disordine sociale. Si potrebbe pensare che i troll siano incapaci di rendersi conto del dolore che provocano, ma non è così: sono in grado di capire cosa ferisce le persone, ma non gliene importa nulla. In altre parole, godono nel provocare caos e far soffrire la gente.
I troll possono dileggiare le persone per il loro aspetto fisico, accusarli di colpe immaginarie e persino commentare a sproposito su pagine social in onore di defunti, al solo scopo di turbare famiglia e amici degli scomparsi. Le conseguenze su chi ne è vittima possono essere devastanti:
- Bassa autostima
- Insonnia
- Depressione
- Fobie sociali
- Pensieri suicidi
Come ci si può difendere dai troll? Bisogna ricordare che questi disturbatori di mestiere traggono forza dall’attenzione che ricevono. Se ottengono l’obiettivo di portare scompiglio e discordia, persisteranno nella loro opera. Meglio ignorarli.
Shitstorm: tempeste “particolari” che possono travolgere chiunque
Il Cambridge Dictionary definisce shitstorm una “situazione in cui un folto gruppo di persone sono in disaccordo e litigano fra di loro”. Per estensione semantica, nel linguaggio parlato questo termine indica un disastro, uno scandalo o una polemica di enormi proporzioni.
Sostanzialmente, una shitstorm (letteralmente “tempesta di escrementi”) si verifica quando una pagina o un gruppo di forum o social network viene subissata di insulti da parte di utenti indignati per via di una gaffe, un’affermazione controversa, una pubblicità politicamente scorretta o fraintesa. In genere questo tipo di polemica si caratterizza per essere tanto violenta quanto breve e di rado dura più di qualche giorno. A differenza delle fake news e dei troll, nella shitstorm non c’è la volontà di ferire la persona dall’altra parte del monitor: la rabbia è dovuta a una reazione emotiva per un’esternazione giudicata inaccettabile.
Le motivazioni che scatenano la reazione degli utenti possono essere più o meno condivisibili, ma la violenza tipica della shitstorm la rende una vera e propria lapidazione digitale che non è mai giustificabile e va contrastata.
Gli effetti sulle aziende
Non sono soltanto le persone ad essere colpite da una condotta sbagliata degli utenti. Anche le società (incluse quelle di grandi dimensioni) possono essere danneggiate nella reputazione, con conseguenti ricadute sul business. Dal momento che le società non intendono privarsi della visibilità che offre la rete, queste sono tutte vulnerabili alle insidie del web. Vediamo cosa può capitare se non si sta attenti e quali contromosse attuare.
Lo shitstorm più famoso della storia di internet: il caso Kitkat di Nestlè
Il più famoso shitstorm della storia di internet è il caso Kitkat. Le barrette di cioccolato più famose al mondo sono state oggetto di una forte campagna di sensibilizzazione su iniziativa dell’organizzazione per la tutela dell’ambiente Greenpeace. Quest’ultima criticò l’uso indiscriminato di olio di palma per produrre il celebre snack. La Nestlè, titolare del brand, distruggerebbe infatti l’habitat naturale degli oranghi, mettendo in pericolo la loro popolazione.
Diffuse quindi un video parodia di forte impatto emotivo sul social network YouTube il 17 marzo 2010, che divenne in poco tempo virale. Anche grazie alle inutili ed ancor più deleterie azioni di Nestlé nel vietare la pubblicazione del video e nel disattivare le pagine fan sui social per sfuggire alla discussione.
Troll e competitors: il caso Organo gold
Se nel caso della Nestlè la campagna aveva obbiettivi nobili, nessuna azienda è risparmiata dalle polemiche, spesso pretestuose ed ancor più spesso fondate su valutazioni erronee. Un’altro esempio sono le aziende di network marketing, modello di business adottato da tante aziende, che a volte ottengono risultati incredibili a livello economico.
Nell’immaginario collettivo tale modello viene facilmente associato agli schemi piramidali, vietati in molti paesi, Italia compresa. Tanto basta per essere nel mirino di commenter con ridotte capacità critiche, pronti a sparare a zero. Se poi, come nel caso dell’azienda Organo Gold, commercializza caffè dalle proprietà benefiche, apriti cielo!
Ed è così che l’azienda deve affrontare commenti di troll di competitors e venditori che hanno abbandonato prematuramente l’impresa (il network marketing è anche questo, pregi e difetti).
Come difendersi?
Dunque, cosa si può fare per proteggersi contro questi “pirati” del web?
Proteggersi dalle fake news
Le fake news possono alterare la nostra percezione della realtà e influenzare le nostre opinioni. Per ottenere questo, i publisher si basano sulla distrazione di alcuni utenti, pronti a condividere gli articoli falsi e mendaci, contribuendo a diffonderle. Il primo accorgimento è dunque quello di controllare il sito web da cui proviene la notizia per valutare se è affidabile, verificando anche che la news sia riportata da più fonti diverse.
C’è poi da valutare la posizione ideologica di una determinata fonte d’informazione (anche autorevole). Alcune testate hanno una linea piuttosto parziale che potrebbe non approfondire a sufficienza una questione. Inoltre, è bene distinguere che tipo di articolo si sta leggendo: se si tratta di un editoriale, va ricordato che questo tipo di pezzo ha un approccio più “personalistico” rispetto agli altri.
Attenzione alle pubblicità online: se compaiono molti pop-up e ci sono annunci a carattere erotico, probabilmente il sito non è autorevole. Se si è ancora in dubbio, si può fare un controllo dell’affidabilità di una fonte attraverso siti terzi specializzati nel fact-checking come Snopes e Factcheck.org. Solo a questo punto si può condividere il post o l’articolo, certi di dare apporto positivo al publisher e di sensibilizzare i netizen della nostra cerchia alla notizia.
Proteggersi dai troll
I troll, come abbiamo visto, sono potenzialmente pericolosi per le persone e per le aziende. Che si tratti di persone che si comportano così perché pagate o perché ne provano piacere, esistono dei modi per difendersi da loro.
In primo luogo, si deve ricordare la regola d’oro: “Non dare da mangiare ai troll“. Sono sadici e traggono la loro energia dal ferire la gente, dunque ignorarli è il modo migliore di combatterli. Non reagire vuol dire farli fallire. Se necessario, può essere utile bloccare e segnalare gli utenti peggiori, continuando a svolgere le proprie attività come se nulla fosse.
E se i troll, invece di prendere di mira una persona, decidono di imperversare sulla pagina social di un’azienda e scatenare una shitstorm? In tal caso, vi sono degli accorgimenti da mettere in pratica.
Innanzitutto, bisogna ricordarsi che le polemiche online hanno vita breve, quindi si deve evitare reazioni esagerate, vittimistiche e infantili. Bisogna tener presente che le conversazioni sono pubbliche e vengono lette da tutti, quindi le risposte devono essere appropriate.
La velocità nella risposta è fondamentale. I troll sono in grado di far crescere la “bolla” della rabbia in poco tempo, dunque bisogna essere tempestivi nel replicare con educazione, senza censurare i commenti né fomentare ulteriori polemiche. La community online è lo specchio di un’azienda: la trasparenza e la cortesia pagano sempre.
Internet è uno strumento dalle potenzialità sconfinate ma va usato con maturità e spirito critico. Se gli utenti lo usano impropriamente possono arrecare danni repentini e drastici a persone ed aziende, con conseguenze drammatiche in termini di posti di lavoro e benessere dei singoli individui.