Probabilissima la richiesta della fiducia del governo sul Jobs act. Il Consiglio dei ministri di ieri sera ha autorizzato la titolare dei Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, a «porre eventualmente » la questione di fiducia sul ddl delega sul lavoro. E così andrà a finire, anche se Renzi prima di chiederla formalmente farà svolgere i due incontri in programma stamattina con i sindacati e gli imprenditori. La fiducia è infatti materia di forti tensioni non solo con i sindacati, che con Susanna Camusso si sono detti ieri «pronti al confronto ma anche al conflitto» e con i quali il premier si accinge al braccio di ferro che si apre stamattina alle 8 nella Sala verde di palazzo Chigi, ma anche con la minoranza del Pd, che ha visto alcuni dei suoi esponenti più irriducibili, come Stefano Fassina e Pippo Civati, minacciare «conseguenze politiche» se il governo insisterà sulla fiducia. In ogni caso, la fiducia verrà posta su un maxiemendamento a cui il governo sta lavorando che dovrebbe recepire alcune delle modifiche al Jobs act contenute nel documento approvato dalla Direzione del Pd di una settimana fa, pur non diffondendosi in dettagli sull’art. 18 e il reintegro per i licenziamenti discriminatori e disciplinari. La prospettiva non tranquillizza gli oppositori interni del Pd che intendono tenere alta la protesta contro alcuni aspetti del provvedimento, soprattutto quelli riguardanti le garanzie fornite dall’art.18. La battaglia annunciata da chi come Fassina non esita a richiamare l’attenzione del capo dello Stato sulle «molto gravi conseguenze politiche dell’azione del governo», non sembra però intimidire Matteo Renzi che ha avvertito: «Ora tocca ame guidare e nessuno pretenda di mettere blocchi perchè da venti anni siamo nella palude». Quanto alle riforme, l’ex sindaco di Firenze ha precisato: «Certo che le facciamo, non molliamo di un centimetro – ha detto il premier a ”Quinta colonna“ su Rete4 -. E’ chiaro che quando si fanno le riforme qualcuno si accontenta e qualcuno si scontentaun pò». INCONTRO INEDITO Quanto all’inedito – per il suo governo – incontro con Cgil, Cisl e Uil, Renzi annuncia che chiederà «se sono d’accordo che anche loro devono dare una mano. Se siamo arrivati a questo punto in Italia – aggiunge – la colpa è dei politici, mac’è una responsabilità diffusa di tanta gente, anche dei sindacati ». E sul nodo gordiano dell’art. 18 che lo oppone sia ai sindacati che alla minoranza del suo partito, Renzi ribadisce: «E’ un totem ideologico, riguarda 2.500 persone e rischia anche di essere fonte di incertezza» dal punto di vista giuridico. D’altra parte, a favorire in qualchemodo il non inasprimento del clima tra maggioranza e minoranza dem arriva la presa di distanza di Forza Italia dalla riforma del lavoro di marca renziana. Il consigliere politico di Berlusconi, Giovanni Toti, afferma infatti che il suo partito «non potrà votare la fiducia a un provvedimento che sembra un ennesimocompromesso al ribasso tra le componenti del Pd». A rincarare la dose è RenatoBrunetta: «Renzi non ci prenda in giro: al vertice Ue sul lavoro non porterà nessuna riforma. Al massimo l’approvazione di una delega in una sola Camera. Così – sostiene il capogruppo azzurro a Montecitorio – non si va da nessuna parte». Diverso l’atteggiamento del Nuovo centrodestra, il cui leader Angelino Alfano annuncia l’appoggio deciso a una riforma «che abbiamovoluto per primi», venato solo dal dubbio che, magari attraverso il maxiemendamento, finisca col ridursi a «una cosa brodosa e inconcludente». Il ministro dell’Interno, infatti, tende ad escludere «emendamenti che impediscano dimandare in soffitta l’articolo 18». Il consenso di Alfano al premier è invece senza esitazioni su un altro controverso argomento, quello del Tfr in busta paga, sul quale il leader del Ncd conferma: «Un punto già chiarito è che si farebbe solo sulla base di una scelta volontaria del lavoratore».
Lavoro, il governo chiede la fiducia Renzi sfida i sindacati Alta tensione nel Pd
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