di Maddalena Brunetti da Cagliari Il Tornado tedesco sorvola le bianche spiagge di Cabras e molla la sua bomba da allenamento sul poligono militare di Capo Frasca, 10 chilometri in linea d’aria dalla città di Arborea. L’ordigno centra una roccia e le scintille provocano un incendio che distrugge 32 ettari di macchia mediterranea. Ma stavolta a prendere fuoco è anche la protesta della Sardegna, ostaggio del ministero della Difesa: 37 mila ettari di paradisi terrestri in riva al mare sequestrati per provare armi di ogni genere, il 60 per cento dell’intero demanio militare italiano.
LA DINAMICA dei fatti può sembrare surreale, ma per i sardi è un’abitudine. Tutto inizia mercoledì scorso, quando il Corpo forestale riceve una chiamata dai militari che chiedono aiuto perché nel poligono è scoppiato un incendio. Ci sono i Tornado tedeschi che, come da programma, si stanno esercitando a Capo Frasca, facendo il tiro a segno per testare la precisione del bombardamento. Sganciano bombe, in questo caso inerti, per vedere se riescono a centrare gli obiettivi: il danno è limitato, il fuoco viene domato in poco tempo e la notizia non supera il filo spinato. Il giorno dopo, giovedì, alla stessa ora, il copione si ripete: la Forestale riceve un’altra telefonata, c’è un altro incendio nel poligono. L’autobotte corre a Capo Frasca.
I militari, che non hanno nessuna unità di pronto intervento, offrono la “massima collaborazione”, cioè accompagnano i forestali nei pressi delle fiamme. Gli uomini dell’antincendio si trovano davanti un rogo imponente e, mentre iniziano le loro operazioni, sentono a meno di 50 metri da loro una violenta esplosione. Si alza una densa colonna di fumo. Per l’Aeronau – tica è una banale “fumata da segnalazione che ha sviluppato un lampo e rilasciato una modesta quantità di fumo senza alcuna esplosione”. Punti di vista. Gli uomini della Forestale però scappano, e in costanza di bombardamento, proseguono lo spegnimento dall’elicottero. Nel frattempo le linee telefoniche tra Cagliari e Roma si sono arroventate. Il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, alza la voce e chiede la convocazione straordinaria del consiglio regionale, l’opposizione sollecita le dimissioni del ministro della Difesa Roberta Pinotti e le associazioni antimilitariste si preparano ad affollare la già prevista manifestazione di protesta del 13 settembre. In questo putiferio, l’Aeronautica dirama un tranquillizzante comunicato in cui parla di “piccoli focolai d’incendio sotto controllo”.
Sarà. Alla fine Pigliaru – che non aveva ottenuto il prolungamento della pausa estiva fino al 30 settembre – giusto per risparmiare ai turisti di fare gli ultimi bagni in scenario bellico, strappa la sospensione delle esercitazioni fino a che la Difesa non abbia istituito il presidio antincendio a cui finora non aveva pensato. Il dramma delle servitù militari in Sardegna è antico: da anni la Regione chiede che questo peso venga alleggerito e tanti sono già gli accordi firmati e disattesi.
COSÌ IL PARADISO delle vacanze si ritrova con i 37 mila ettari racchiusi in chilometri di filo spinato, senza contare lo spazio aereo e quello a mare bloccati per le esercitazioni. La sola Ca – gliari si trova con 2 milioni di metri quadrati occupati da strutture militari, compresi gli stabilimenti balneari di Esercito, Marina e Aeronautica, chiamati “centri elioterapici”. Oltre alla base aerea di Decimomannu, ai tunnel polveriera di Santo Stefano all’isola della Maddalena, dove sono stipati armamenti di tutti i tipi nel cuore di un parco naturale internazionale, la Sardegna è occupata dagli immensi poligoni costieri di Capo Frasca, di Quirra (tra le province di Cagliari e Ogliastra) e di Capo Teulada (Sulcis) più quelli – definiti “occasionali” – di Macomer (Nuoro) e del lago Omodeo (Oristano). Impianti che, messi assieme, costituiscono il fronte interno più vasto d’Europa. Ogni anno le Forze armate propongono il loro calendario di bombardamenti al Comipa , il Comitato paritetico per le servitù militari, che sistematicamente lo boccia. Ma il parere non è vincolante. A Roma storcono il naso e poi, per decreto, danno via libera ai giochi di guerra. Così da decenni nei poligoni sardi si addestrano gli eserciti di mezzo mondo, basta firmare un’autocertificazione – poiché lo Stato italiano si fida –e pagare un canone. I soldi vanno tutti nelle casse della Difesa, all’isola non restano che gli scarni indennizzi – sempre in ritardo – e i danni collaterali.