Renzi diserta Cernobbio: “Vado da un industriale vero”


di Giorgio Meletti Matteo Renzi diserta dunque il Forum Ambrosetti di Cernobbio, dando seguito alla presa di distanza “dall’establishment che ha portato il Paese in queste condizioni”. Non va a farsi fare la lezione da banchieri, economisti e imprenditori, e lo annuncia in modo sprezzante: “Domani sarò a inaugurare una rubinetteria a Brescia, sarò lì dove le imprese investono”. La polemica è dura. Scende in campo l’ex banchiere ed ex ministro Corrado Passera per dirgli che avrebbe fatto meglio ad ascoltare i sapienti di Cernobbio. Renzi scatena la sua deputata Lorenza Bonaccorsi: “Dove c’è un rappresentante di punta del vecchio establishment come Corrado Passera e l’ideologo della rivoluzione da Costa Smeralda Gianroberto Casaleggio, che c’entra Renzi?”. Già che c’è, insinua pure che di Casaleggio “ancora si attende la trasparenza dei finanziatori della sua azienda, scatola nera del grillismo”. L’interessato replica secco: “La mia azienda si autofinanzia con le sue attività e non con i soldi di finanziatori occulti o grazie ai finanziamenti pubblici, pudicamente chiamati rimborsi, come il partito della Bonaccorsi, che se vuole può richiedere il bilancio della Casaleggio Associati alla Camera di Commercio di Milano”.

LA POLEMICA conferma che Cernobbio non è più quella di un tempo, quando i potenti del mondo si riunivano al Grand Hotel Villa d’Este, superlusso con eliporto affacciato sul lago di Como, e davano all’Italia pagelle e ordini secchi. I politici andavano a chiedere un po’ di legittimazione, in cambio – fin – ché lo Stato ha avuto soldi da promettere – di future benevolenze. Nel ’94, per fare le feste al primo governo di B., il severo presidente dell’Olivetti, Carlo De Benedetti, spalleggiato da Passera, si esibì in un duetto da urlo con il ministro dell’Interno Roberto Maroni, dipinto come Steve Jobs: “La sua competenza mi ha messo in difficoltà, è nettamente superiore alla mia nel campo dei renzi-620x420computer”. E Maroni: “Come governo siamo disponibilissimi a prendere il meglio sul mercato. Credo che a Ivrea ci sia davvero il meglio del mercato”. E De Benedetti: “Con questa nuova classe politica tutto è molto semplice”. Cernobbio era così. I potenti chiedevano riforme e distribuivano belle parole interessate. Nel settembre ’91, solo dopo aver incassato 3 mila miliardi di pubbliche lire per costruire la fabbrica di Melfi, il capo della Fiat Cesare Romiti dette il benservito al governo Andreotti: “Non ci poniamo contro il governo perché è una cosa assurda per chi si sente parte della classe dirigente, ma da oggi in poi intendiamo dividere le responsabilità”.

La ricetta era perentoria: “La classe industriale non vuole distruggere lo stato sociale, vuole distruggere lo spreco, l’inet – titudine e la disonestà che sono insite nello stato sociale”. Pochi mesi dopo Giuliano Amato cominciò a picconare le pensioni. A Cernobbio arrivavano tutti. Yasser Arafat si appartava a discutere con Shimon Peres, l’av – vocato Agnelli atterrava con l’elicottero, Silvio Berlusconi faceva le feste al premier spagnolo José Maria Aznar (il modello spagnolo è sempre piaciuto). C’era un tale traffico di vip che nel ’99 il presidente della Commissione europea Romano Prodi se ne andò seccato senza prendere la parola dopo che l’oratore precedente, Peres, aveva sforato di 40 minuti. I politici accorrevano per brillare di luce riflessa. Il comunista Fausto Bertinotti – reduce dall’aver silurato il primo governo Prodi perché troppo poco comunista – si fece anche la sfilata serale di Valentino, di cui la signora Lella si dichiarava estimatrice. Il cerimoniere di sempre, Mario Monti, sapeva nascondere il pugno di ferro nel guanto di velluto.

Eccolo nell’edizione ’92, quando si facevano i conti con il trattato di Maastricht fresco di firma, spendere parole comprensive: “Nelle forze politiche sono emersi elementi di perplessità perché l’Europa dei mercanti e dei banchieri non dà sufficiente spazio ai problemi sociali e alla tutela dei deboli”. Ma la sostanza non cambia. Il leader Pds, Achille Occhetto, ha detto di sentire la necessità di ridefinire le modalità di attuazione del trattato che ci porterà all’euro? Niente paura. È da Cernobbio che il presidente della Camera, Giorgio Napolitano, zittisce il segretario del suo partito: “Il Parlamento ratificherà il trattato così com’è”.

L’EBBREZZA di onnipotenza che spirava a Cernobbio spinse nel 2006 il padrone di casa, Alfredo Ambrosetti, a lanciare la candidatura al Quirinale del suo economista di fiducia, Mario Monti. Pochi giorni dopo, fu eletto Giorgio Napolitano. Era incominciato il declino. Il lungimirante Umberto Bossi lo aveva intuito nel ’96, quando, seduto accanto al governatore della Bundesbank, Hans Tietmeyer, senza farsi frenare dall’imbarazzo di aver dimenticato a Gemonio le scarpe nere (“quelle belle”), ruttò: “Cariati – di. Parlano, parlano, e intanto sprofondano”. Sono sprofondati davvero, anche Bossi. I politici non rispondono più agli ordini, banchieri e manager, presi dai cavoli loro, amari quanto quelli della politica, non ci provano quasi più. L’anno scorso il crollo. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni emanò la sua previsione cernobbiana sul Pil: “Ci sarà una stabilizzazione dell’economia nel terzo trimestre e una crescita nel quarto. E un 2014 integralmente positivo”. Fu così che Matteo Renzi strinse i tempi per sfilare la poltrona a Letta e intestarsi la ripresa economica. Ma due trimestri di crescita negativa l’hanno detta lunga sull’utilità di Saccomanni e del convegnone di Cernobbio. E Renzi, scaramanticamente, ha optato per una fabbrica dove potrà toccare tutti i rubinetti che vuole.

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