Oscar Pistorius non voleva uccidere la sua fidanzata. L’accusa, infatti, non è stata in grado di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che quest’uomo sia colpevole di omicidio volontario e premeditato. Pertanto, lo condanno per omicidio colposo. Così è deciso”. Non ci sono più dubbi, dunque. Almeno per il giudice sudafricano che nei giorni scorsi, al termine di un processo durato sei mesi, ha emesso la sua sentenza definitiva. Oscar Pistorius, 28 anni, l’atleta paralimpico che ha commosso il mondo gareggiando ai massimi livelli con le sue protesi d’acciaio, ha sparato alla sua bellissima fidanzata, Reeva Steenkamp, uccidendola nella sua villa. Il giudice, però, è convinto che l’ex campione abbia sparato senza la reale intenzione di uccidere. E quindi che l’omicidio sia stato “soltanto” il frutto di un tragico errore. In sostanza, il giudice ha implicitamente creduto alla versione di Oscar Pistorius, che ha assistito al verdetto con le lacrime agli occhi, bianco in volto, ma apparente mente sollevato. Tutti, infatti, si aspettavano una sentenza molto più severa per l’atleta paralimpico. Che adesso, anziché l’ergastolo come era stato previsto da molti giuristi, rischia di finire in carcere per un massimo di 10 anni. Sarebbe davvero clamoroso, ma il giudice potrebbe anche decidere per una banale multa. In aula era presente anche June Steenkamp, la mamma della vittima, rimasta impietrita alla lettura della sentenza. Al suo fianco c’era il marito Berry, che si è piegato sul banco scuotendo la testa. I due genitori si sono poi allontanati senza pronunciare una sola parola.
«HO SPARATO PER DIFENDERMI» Solo il prossimo 13 ottobre, comunque, sapremo con esattezza l’entità della pena a cui è stato condannato l’atleta. Nel frattempo, per provare a capire meglio le ragioni di questo verdetto, facciamo un passo indietro e ripercorriamo insieme quei tragici momenti. Era il 14 febbraio 2013, la notte di San Valentino, quando Oscar Pistorius, svegliandosi di scatto nella sua villa di Pretoria, in Sudafrica, si alzò dal letto e sparò quattro volte verso la porta bagno. Dietro alla porta c’era la sua fidanzata, la modella sudafricana Reeva Steenkamp, che mori sul colpo. L’atleta si è sempre difeso sostenendo di aver sparato perché pensava che in casa ci fosse un ladro. Ecco quello che Pistorius aveva dichiarato: «Quella sera io e Reeva ci siamo spostati in camera da letto. Lei faceva gli esercizi di yoga, mentre io guardavo la tv. Poi Reeva mi ha dato un regalo per San Valentino e ci siamo addormentati. Poco dopo sono stato svegliato da alcuni rumori e mi sono alzato pensando che qualcuno si fosse intrufolato in casa. Ero senza protesi e molto spaventato: per questo non ho acceso la luce. Allora ho preso la mia pistola e mi sono diretto verso il bagno, credendo che Reeva fosse a letto. Temevo che quelbintruso potesse fare del male a me e alla mia ragazza. Così ho sparato contro la porta e ho urlato a Reeva di chiamare la polizia. Ma lei non rispondeva. Quindi sono tornato verso il letto e solo allora ho capito che lei non era lì. Allora ho infilato le protesi e con una mazza ho sfondato la porta del bagno, che era chiusa a chiave dairinterno. Reeva era stesa a terra: è morta prima ancora dell’arrivo del medico. Quella notte ho perso la persona a cui tenevo di più, non so come la gente non voglia credermi».
E STATA FATTA DAVVERO GIUSTIZIA? Ma l’accusa, rappresentata dal procuratore Gerrie Neil, aveva descritto Oscar Pistorius come «un gran bugiardo, un uomo falso e spaventoso, più preoccupato di valutare le conseguenze delle sue parole che di raccontare la verità». E infatti, durante l’interrogatorio, il procuratore lo aveva fatto ca-‘ dere più volte in contraddizione, sostenendo che Pistorius aveva tutta l’intenzione di uccidere la fidanzata perché prima dell’omicidio aveva litigato furiosamente con lei. Una lite che, tra l’altro, era stata confermata anche dai vicini di casa che dissero di aver sentito le urla di Reeva poco prima degli spari. Pistorius, di contro, aveva respinto le accuse con queste parole: «Reeva era nascosta dietro la porta del bagno e quando ho iniziato a sparare, lei non ha urlato. Certo, avrei voluto che urlasse, così almeno mi sarei reso conto che dietro a quella porta c’era lei e non un ladro. Ma questo non è accaduto». Queste ultime parole dell’atleta, in un certo senso, sembrano aver inciso nella sentenza finale. Ecco cosa ha detto il giudice in aula prima di pronunciare il verdetto: «L’imputato ha deciso consapevolmente di prendere la pistola e dirigersi verso il bagno per sparare, ma come avrebbe potuto prevedere che il colpo sparato avrebbe ucciso la vittima? Non si può ignorare il fatto che nel momento di aprire il fuoco Pistorius abbia creduto, anche se a torto, che la sua vita fosse minacciata. Tuttavia, non avendo preso le necessarie precauzioni, Pistorius ha agito in modo affrettato e con un uso eccessivo della forza».
Così “eccessivo”, potremmo aggiungere noi, da uccidere con quattro colpi di pistola la sua amata fidanzata. Infatti, nello stesso tempo in cui ha afferrato Tarma e si è di retto verso il bagno, l’atleta sudafricano avrebbe potuto chiamare la polizia o chiedere aiuto gridando dalla finestra. Non solo. Anziché telefonare agli amici, subito dopo l’omicidio, perché non ha chiamato il servizio di sicurezza del condominio? E la lite sentita dai vicini di casa? Perché non si è tenuto conto di questa importante testimonianza? Il giudice, in sintesi, ha preferito valutare elementi più concreti, come i tabulati telefonici e i messaggini che Oscar e Reeva si erano scambiati in quei giorni. Messaggi che raccontano di una relazione fatta di alti e bassi, con discussioni frequenti, ma insufficienti a giustificare un delitto. Tutto questo, unito al fatto che la finestra del bagno non avesse l’antifurto, ha spinto il giudice a ritenere che Pistorius abbia sparato “in buona fede”, per difendere se stesso e la sua ragazza. Ma si è trattato davvero di un omicidio colposo? Oppure più semplicemente non è stato possibile dimostrare il contrario? È giusto ritenere che il giudice sia stato di manica larga? Questo processo, con tutta probabilità, non è finito qui.