Massimo Giletti, “Vorrei invitare all’arena Papa Francesco”


Allora, Giletti, tra poco saranno vent’anni di conduzione. «Ho iniziato il 13 ottobre 1994. Facevo “Mattina in famiglia” ». Cosa ricorda di quella prima giornata? «Riguardandomi devo dire che come esordiente non ero male. Ero solo vestito da cani: colori strani, una giacchettina assurda, non so chi mi avesse vestito. Però ero sorridente, era un bell’inizio». E i vent’anni successivi come sono stati? «Un po’ controcorrente. Ho sempre nuotato da solo, senza appoggi. Oggi sono quello che sono anche perché sono libero, non devo rendere conto a nessuno. E questo ti permette di fare anche inchieste scomode». La più scomoda? «È sempre quella che deve venire. Ma in genere quelle sui palazzi del potere sono sempre le più faticose, devi lottare spesso contro l’arroganza della censura». Festeggerà l’anniversario,ne parlerà all’«Arena »? «Non credo. E poi per ricordare vent’anni ci vorrebbe un libro». Sta pensando anche lei a una biografia? «Nooo, lo dico per me stesso, perché diventando vecchi si dimenticano tante cose. Intanto facciamo quello che siamo capaci a fare». L’«Arena» ricomincia il 28 settembre: cambierà qualcosa? «Bisogna stare attenti a toccare un prodotto che fa quasi il 21% di share e 4 milioni di spettatori, però bisogna farlo. Non puoi riproporre sempre la stessa cosa. Se riguardo il primo anno dell’“Arena” non la riconosco neanche: vuol dire che abbiamo lavorato molto per migliorare». In questo caso? massimo-giletti«Dovremo apportare delle modifiche, ma le vedremo in corso d’opera. Devo trovare spazi per altre cose.

O fare le stesse cose in modo diverso. Ogni anno ci sono novità». È vero che durerà mezz’ora di più? «Il 28 settembre sì, ma a ottobre dobbiamo ancora decidere. Mantenere una qualità alta per più tempo è complicato. E tra tempo e qualità io sono per la qualità». La squadra è la stessa? «Sono contento perché sono riuscito ad avere più persone in redazione. Eravamo sotto organico, ma riuscire ad aumentare i numeri in un momento di difficoltà è un bel riconoscimento». E gli autori? «Il programma vive di me e di Fabio Buttarelli, che è il capoprogetto, ma anche un fratello: lavoriamo insieme dal 1995». Come vi dividete i compiti? «Minoli diceva che sono un giornalista da marciapiede, perché ho sempre ritenuto che le notizie andassero cercate fuori, non nei computer. Capisco quello che funziona. Però poi il compito di tradurre in tv le mie idee confuse è di Fabio». Dove vi siete conosciuti? «Era un collaboratore a “I fatti vostri”. Anche Giovanni Caccamo: allora metteva le cassette nel mixer, oggi è il mio regista… Uno dei meriti dell’“Arena” è di aver cresciuto dei professionisti». Chi le ha insegnato di più in vent’anni? «Michele Guardì mi ha insegnato a fare la conduzione in piedi; Minoli è stato un maestro di vita. Televisivamente Santoro rimane il numero uno. Anche Mentana ha una marcia in più». Loro sono passati a un’altra azienda. «Nel ’98 sono stato molto vicino ad andare a Mediaset. Se avessi guardato il denaro sarei dovuto andare, ma io credo soprattutto nei progetti. E poi ero troppo giovane, non avevo le spalle quadrate, rischiavo di finire a fare promozioni a vita». Col progetto giusto andrebbe via dalla Rai? «Non credo. Sono nato qui, ci lavoro da quasi 25 anni. Ormai sono quasi un pezzo del cavallo di viale Mazzini…». Cosa c’è nel suo libro dei sogni? «Avere ospite l’uomo più politico del momento: papa Francesco».

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