Scuola, la riforma Renzi-Gelmini


Salvatore Cannavò La riforma della scuola non sarà una riforma. Questa è la prima certezza che si ricava dalla pubblicazione, prevista per questa mattina alle ore 10 sul sito passodopopasso. it , del Rapporto sulla scuola pubblica più volte annunciato da Matteo Renzi. Si chiamerà la “Buona scuola” e, appunto, invece di una riforma rappresenta le “Linee guida” che saranno messe a disposizione del mondo degli insegnanti, degli studenti, delle famiglie per l’ennesima consultazione popolare che dovrebbe tenersi dal 15 settembre al 15 novembre. Poi, con calma, si tracceranno i vari provvedimenti. Qualsiasi novità, comunque, non potrà che vedere la luce con il prossimo anno scolastico, quello che prenderà il via a settembre del 2015. In attesa del piano governativo, le indiscrezioni dei giorni scorsi si sono accumulate l’una sull’altra. Un po’ più di chiarezza, però, l’ha fatta lo stesso Renzi, proprio ieri, pubblicando la sua E- news mensile in cui un passaggio è dedicato proprio alla scuola. Fra vent’anni, scrive Renzi, “l’Italia sarà come l’avranno fatta le maestre elementari, gli insegnanti di scuola superiore, le famiglie che sono innanzitutto comunità educanti”. Per questo, dice il premier, “noi non facciamo l’en – nesima riforma della scuola” ma proponiamo “un nuovo patto educativo”. Saranno “proposte” e non dei “diktat prendere o lasciare” scrive ancora Renzi.

E qui arrivano i punti salienti: “Proporremo agli insegnanti di superare il meccanismo atroce del precariato permanente e della ‘sup – plentite’, ma chiederemo loro di accettare che gli scatti di carriera siano basati sul merito e non semplicemente sull’anzianità: sarebbe, sarà, una svolta enorme”. La frase, incomprensibile per i più, può voler dire una cosa già circolata nelle bozze allo studio. Si tratta di rivedere le piante organiche della scuola pubblica, adeguando l’organico di diritto (più basso) a quello di fatto o funzionale (più alto) in modo da dotare le scuole del personale necessario a svolgere le lezioni. Quindi, sulla carta, fine delle supplenze. Non significa però che tutti i precari oggi in circolazione verranno assunti, come ha più volte sottolineato Renzi. Anzi, è probabile che sfruttando un ampio turn- over offerto dall’andata in pensione di molti insegnanti entrati in servizio negli “anni d’oro”dei 70, si arrivi a una stabilizzazione più o meno consistente – 100 mila? – nel giro di tre anni.Renzi-Gelmini

Un modo per stare dentro i margini finanziari rispettando in questo modo i tagli mai più recuperati della riforma Gelmini. In cambio, dice Renzi, gli insegnanti devono rinunciare agli scatti automatici progressivi e accettare scatti di stipendio basati sul merito. Problema spinoso perché nella scuola italiana è difficile capire cosa sia e chi possa stabilire il merito. In ogni caso, una soluzione del genere è stata già applicata nel 2011 con il ministro Gelmini, quando i sindacati, tranne la Cgil, accettarono la soppressione dello scatto nei primi tre anni per portarlo a otto. Ne derivò un risparmio che permise la stabilizzazione di circa 67 mila precari. Oggi si potrebbe produrre uno scambio analogo.

L’OBIETTIVO DI RENZI in ogni caso è di parlare direttamente a “famiglie e studenti” per chiedere loro se “condividono le nostre proposte sui temi oggetto di insegnamento: dalla storia dell’arte alla musica, dall’ingle – se all’informatica”. L’aspetto mediatico dell’iniziativa consiste anche nella volontà di scavalcare gli insegnanti per parlare direttamente a tutto il resto, famiglie in primis. In questa logica si spiega l’intenzione di ridare centralità alle scuole private con l’ipotesi della defiscalizzazione della spesa per le rette. Misura che potrebbe valere anche diverse centinaia di milioni. Ma anche l’idea di paragonare i presidi ai sindaci, dando loro più ruolo, responsabilità e autonomia. Infine, la centralità, ribadita più volte, della “alleanza scuola-lavoro” anche con l’enfasi posta sulla riforma dello Statuto dei Lavoratori per tendere a quel “mo – dello tedesco”riscoperto ormai come strategico. Ieri, non a caso, Renzi ha visto a lungo anche il ministro Poletti per mettere a punto il piano sulla delega-lavoro la cui discussione riprende domani al Senato. E che al premier non dispiacerebbe appaiare al dibattito sulla scuola pubblica. La consultazione popolare, dunque, scatta dal 15 settembre al 15 novembre, poi, nella legge di stabilità, “ci saranno le prime risorse e da gennaio gli atti normativi conseguenti”. Come si vede, non si va più di corsa ma “passo dopo passo” perché, dice lo stesso Renzi, “la scuola non si cambia con un decreto”. Forse nemmeno con due.

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