La paura fa 4.000. Ebola incontenibile


di Alessio Schiesari Conakry, Monrovia e Freetown strette nella morsa di Ebola. L’Occidente, dopo il contagio dell’infermiera spagnola Teresa Romero (le cui condizioni sono in peggioramento) e la morte del liberiano emigrato negli Usa Thomas Duncan (ieri è stato rivelato che il paziente fu dimesso con febbre a 39,4°) , ha scoperto la paura per il virus. In Africa occidentale, dove i morti accertati sono più di 4.000, anche le capitali di Guinea, Liberia e Sierra Leone sono in ginocchio. La denuncia arriva dal vicepresidente dell’Organizzazione mondiale della sanità, Bruce Aylward, e conferma come il virus si sia esteso dalle aree rurali e abbia raggiunto le città. Il tasso di mortalità è al 70%, in crescita rispetto al 55% dei primi mesi di pandemia. In Nigeria 1.300 miliari sono stati messi in quarantena. In Liberia le elezioni politiche sono state rinviate per limitare nuovi contagi. Ieri è partito il ponte aereo voluto dall’Ue che proverà a rompere l’isolamento cui da mesi è sottoposta l’area: tre aerei cargo porteranno nell’area 100 tonnellate di attrezzature. È CIÒ CHE CHIEDONO da mesi i diplomatici di stanza nella regione: “La situazione è sfuggita di mano. Ancora a giugno (il primo focolaio risale a febbraio, ndr) credevamo che avremmo dovuto affrontare poche decine di casi –spiega Antonio Pacifici, diplomatico Onu in Liberia e vice rappresentante di Ban Ki-moon -. Se avessimo agito due mesi prima, avremmo potuto fermarla”. Al contrario, tutto quello che stato fatto fino a un mese fa ha aggravato la situazione. In primis, l’isolamento: “Solo di recente Costa d’Avorio e Kenya hanno deciso di interrompere il blocco delle frontiere. È importante, Ebola-storyaltrimenti chi fronteggia l’epidemia si sente intrappolato”, un sentimento che si unisce alla paura per i 200 operatori sanitari uccisi dal virus. Anche per questo, “oggi è più facile trovare personale per Siria e Iraq che per venire qui”. Gli operatori sanitari in Liberia sono poco più di 150, ne servirebbero almeno 700. GLI USA, che hanno inviato 3 mila militari, costruiranno 17 centri di isolamento per portare i posti letto da 450 a oltre 2 mila, “anche se – prosegue Pacifici – non dobbiamo immaginare ospedali con flebo e lenzuola sterilizzate, ma spazi dove isolare le persone in quarantena”. “La situazione è fuori controllo perché ha colpito Paesi le cui le strutture sanitarie erano scadenti, e ora sono vuote”, spiega Livia Tampellini infettivologa di Medici Senza Frontiere, tornata due settimane fa dalla Sierra Leone. I contagi son più frequenti in ospedale, perciò oggi le partorienti evitano le strutture sanitarie. “Servono ambulanze, informazioni su come evitare il contagio e kit di sostegno”. Niente di tecnologico: “cloro, acqua pulita e sapone. Basta un lavaggio per uccidere il virus”. In Europa, al netto di errori marchiani come la mancata disinfezione dell’ambulanza a Madrid il rischio è basso. “Ci sono dei casi, ce ne potranno essere altri. Ma non un’epidemia”. È sufficiente applicare le norme sanitarie di base, le stesse da seguire con l’influenza “come lavarsi le mani di frequente. In presenza di nuovi casi, si devono monitorare le persone venute in contatto con il malato per 21 giorni”, conclude. E, a conferma che l’Ebola in Occidente è più una psicosi che un pericolo reale, c’è la cronaca dei casi sospetti risolti ieri: l’ospedale Sacco di Milano fa sapere che le 7-8 segnalazioni degli ultimi giorni erano tutti “falsi allarmi”, a Parigi una giornalista Usa di ritorno dalla Liberia è risultata negativa al test, mentre s’è scoperto che il cittadino britannico morto in Macedonia non è stato ucciso da un virus, ma dall’ec – cesso di alcol.

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